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Una città-fortezza unica nel suo genere, a protezione di Lecce.

Fu Alfonso dell’Acaya, settimo barone di Segine, che sul finire del 1400 diede inizio alla costruzione dell’imponente opera difensiva, edificando le due torri circolari poste agli angoli Nord-Est e Sud-Ovest del castello. Gian Giacomo, divenuto ottavo barone del feudo nel 1521 alla morte del padre, ben presto si rese conto che queste torri isolate non avrebbero protetto a lungo le terre e le persone, anche perché fu proprio in quegli anni che iniziarono a diffondersi le armi da fuoco. Segine venne così trasformata in chiave militare: costruì il borgo cittadino all’interno di alte mura bastionate a pianta quadrangolare, dove il Castello sostituisce il bastione all’angolo Sud-Ovest. I bastioni lanceolati a pianta pentagonale e a fianchi ritirati, la presenza dei “tronieri traditori” (fori nelle mura dai quali uscivano le bocche dei cannoni, nascosti nei fianchi ritirati e non visibili) uniti a un sistema di muratura a doppio registro (dei quali, la parte inferiore è a scarpata), a un camminamento di ronda lungo tutto il perimetro e a un profondo fossato che circonda interamente il borgo, resero ben presto questa città-fortezza un luogo inespugnabile. L’unico accesso al borgo era costituito dalla Porta Monumentale, costruita da Gian Giacomo nel 1535 e restaurata dalla famiglia Vernazza, ultimi feudatari di Acaya, nel 1792.

Una città ideale totalmente autosufficiente

All’interno delle sue mura comprendeva: un profondo pozzo di acqua sorgiva per il sostentamento, posto al centro di Piazza d’Armi; un frantoio ipogeo di pregevole fattura; decine di silos scavati nella roccia, per la raccolta e la conservazione delle derrate alimentari (oggi ancora visibili grazie a un’accurata messa in opera del basolato, che fa risaltare il disegno originario della pianta del borgo).

Fu sulla base di questi radicali cambiamenti che il barone Gian Giacomo, nel 1535, impose il proprio nome al borgo da lui progettato e realizzato. Ma Acaya va oltre la sua storia rinascimentale. Fuori le mura sorge la Cappella di San Paolo, risalente alla metà del XVIII secolo, la più antica meta di pellegrinaggio (insieme a Galatina) per le vittime del morso della tarantola. Secondo la credenza popolare il tarantismo, provocato dal morso della tarantola (Lycosa tarentula), provocava uno stato di malessere generale – stato di catalessi, sudorazioni, palpitazioni – in cui musica, danza e colori rappresentavano gli elementi fondamentali della terapia, che consisteva nell’esorcismo musicale. A questo punto, la tarantata, graziata da S. Paolo, veniva condotta presso la cappella del Santo e beveva l’acqua sacra del pozzo adiacente ad essa. Acaya è un pezzo di storia che giunge a noi intatto, memoria dei fasti dei tempi che furono, luogo di storie, di genti e di architetture che nemmeno il tempo è riuscito ad espugnare.

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